Fondazione Irene Ets
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2 marzo 2024
Intervista alla prof.ssa Alice Mado Proverbio, Dipartimento di Psicologia, Università di Milano-Bicocca.
Da quando inizia la nostra esperienza musicale?
Dal grembo materno. Feti di 5/6 mesi di età sono in grado di distinguere musica strumentale e canzoni di stile diverso. Il feto di 25 settimane distingue un Allegro di Mozart, da canzoni dei Queen o di Shakira, ma preferisce la voce e il canto materni, le quali hanno proprietà rilassanti. L’ascolto del canto e la canto-terapia regolarizzano il respiro del neonato prematuro, lasciato solo nell’ incubatrice. Si registra una riduzione del cortisolo (ormone dello stress) e dell’ansia: il neonato sorride ad occhi chiusi.
L’ascolto della ninna nanna di Brahms, o della voce umana, aumentano i livelli di saturazione in ossigeno neonatale, a 10 minuti dalla nascita. Bambini di 4 mesi (età post-natale) esibiscono la capacità di cantare intonati molto prima di quella di pronunciare i primi fonemi (lallazione). La capacità di cantare su imitazione e di comprendere gli indizi prosodici nel canto o nella voce è innata nell’essere umano, l’ontogenesi ricapitola la filogenesi. Si ritiene che l’homo Neanderthalensis sapesse cantare, ancora prima di saper parlare.
In che modo la musica interviene come strumento di apprendimento nel campo delle neurodiversità?
Ascoltare musica, cantare o suonare uno strumento musicale sono molto benefici per il cervello durante il neuro-sviluppo. La necessità di perfezionare movimenti di precisione temporalmente complessi modifica plasticamente il cervello, soprattutto se l’apprendimento avviene durante l’infanzia. Si sviluppano regioni dedicate al controllo del movimento e della coordinazione, come la corteccia motoria, il cervelletto, i gangli della base ed il corpo calloso. La pratica musicale aumenta lo sviluppo delle fibre bianche che collegano parti diverse del cervello (connettività) e la formazione di nuove sinapsi, aumentando l’intelligenza fluida). Nei bambini/ragazzi con DSA, deficit di lettura, disturbi cognitivi o linguistici, e deficit sensoriali come la sordità congenita, la pratica e il gioco musicali migliorano:
Esiste una relazione tra suono, linguaggio e apprendimento funzionale?
Studi e modelli neuroanatomici e funzionali recenti hanno confermato una elevata interconnessione tra regioni cerebrali associate all’elaborazione uditiva (analisi del suono), alle funzioni senso/motorie e all’apprendimento del linguaggio. I musicisti esibiscono un volume di materia grigia più elevato nel giro temporale superiore bilaterale e nel giro post/centrale destro, nonché un volume di materia bianca maggiore nel fascio capsulare interno destro e nel tratto corticospinale. È stata osservata una maggiore attività nei giri temporali superiori bilaterali, nel giro frontale inferiore sinistro, nel giro precentrale sinistro e nell’insula sinistra.
Queste regioni sono coinvolte nella capacità di produrre ed articolare il linguaggio, di programmarlo, di riconoscere la forma fonologica delle parole e di analizzare sintatticamente le parti del discorso. La ricerca indica uno sviluppo anatomico distinto nel cervello dei musicisti rispetto a quello dei non musicisti, in particolare nelle regioni temporali e frontali. Ciò può essere correlato ad un miglioramento delle funzioni uditive ed esecutive, evidenziato dall’aumento dello spessore corticale e del volume della materia grigia nella corteccia uditiva primaria del lobo temporale e nelle aree del lobo frontale associate ai compiti esecutivi. Questo spiega perché lo studio musicale migliora la capacità e consapevolezza fonologica, fonetica e linguistica.
A partire dalla centralità della sensazione e del sentimento quali strumenti conoscitivi, la musica è un amplificatore di relazione?
Ascoltare o suonare musica fornisce una forte stimolazione sensoriale per gli individui con autismo (ASD) e con deficit nella cognizione sociale, ma pur sempre bisognose di relazioni e di affetto. Fare musica facilita la comunicazione e l’espressione emotiva negli individui non vedenti o sordociechi, per via delle vibrazioni. La musica riduce il dolore, dà conforto: ascoltare la musica preferita ci consola quando siamo tristi o depressi perché stimola il centro del cervello deputato a farci sentire bene (il sistema dopaminergico della ricompensa).
Suonare o cantare in gruppo stimola nei bambini e nei pazienti quella parte del nostro cervello ancestrale (nucleo caudato) che ci fa sentire felici perché siamo insieme agli altri e protetti dal gruppo; crea un senso di appartenenza, induce comportamento pro-sociale, e rafforza la coesione. Questo è particolarmente rilevanti per i bambini con deficit particolari, speciali o che si sentono diversi dagli altri.
Secondo lei è possibile usare il testo musicale come spazio di esplorazione e di avvicinamento al linguaggio per chi è all’interno dei DSA? In che modo?
Non c’è dubbio. Il gioco musicale nel bambino (6-12 mesi) facilita l’acquisizione della lingua madre e delle lingue straniere. Il canto (la prosodia melodica) aiuta a memorizzare le parole delle filastrocche e delle poesie. Inoltre il canto delle parole bypassa il circuito linguistico deficitario nei pazienti afasici e nei bimbi affetti da balbuzie, sviluppando il fascicolo arcuato destro. Infine il training musicale migliora la percezione linguistica del bimbo con impianto cocleare. Un nostro studio recentissimo (da noi effettuato presso il laboratorio di elettrofisiologia cognitiva dell’Università di Milano-Bicocca), ha mostrato che lo studio della musica ha un impatto diretto sulla capacità di leggere lettere e parole.
I dati mostrano che leggere la notazione favorisce lo sviluppo di un’area per la lettura occipito/temporale destra, normalmente non attiva per leggere, ma necessaria per la lettura del pentagramma. Lo sviluppo di queste regione supplementare favorisce la capacità di lettura, migliorandone l’accuratezza e la velocità. Questo studio dimostra l’importanza della alfabetizzazione musicale nella prevenzione e nella terapia della dislessia superficiale e fonologica, e nei disturbi di lettura. Inoltre, l’addestramento intensivo dell’attenzione e dello spostamento degli occhi, che coinvolge l’area V5 e l’area oculomotoria BA8, agirebbe anche come fattore di potenziamento e protezione per la capacità di lettura. Questi risultati evidenziano l’importanza del promuovere la competenza musicale fin dalla prima infanzia e di incoraggiare la pratica continua di questa abilità per favorire lo sviluppo delle abilità di lettura.
Fonti:
Proverbio, Alice Mado (2019) Neuroscienze cognitive della Musica, Carocci editore, Roma.
Proverbio, Alice Mado (2022) Percezione e Creazione Musicale, Carocci editore, Roma.