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Dsa: l’incontro tra famiglia, pediatra e scuola  

Intervista alla dott.ssa Laura Reali, medico di famiglia, presidente della Confederazione europea dei pediatri di cure primarie, membro del Comitato Scientifico di Fondazione Irene ETS

ottobre 2023

Cosa è cambiato negli ultimi anni – come evoluzione o involuzione- nel rapporto tra famiglia, pediatra e scuola?

Negli ultimi anni, il rapporto tra famiglia, pediatra e scuola ha subito evoluzioni e cambiamenti in linea con l’evoluzione della nostra società e anche se è considerato un rapporto fondamentale, ma i suoi progressi variano nelle diverse regioni e scuole. Sulla carta, c’è stata una evoluzione normativa positiva per garantire la protezione dei diritti dei bambini, in particolare di quelli con neurodiversità, come disturbo dello spettro autistico, dislessia, disprassia, discalculia, sindrome di Tourette o disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD).

Tuttavia, solo in alcuni casi si è verificata una vera collaborazione tra le tre parti coinvolte, che hanno riconosciuto l’importanza di lavorare insieme per il benessere e lo sviluppo dei bambini. La ricerca educativa ha elaborato diverse proposte, come il modello ecologico di Urie Bronfenbrenner (1986), per integrare il processo di acquisizione delle competenze scolastiche con le attività familiari, favorendo un approccio cooperativo e integrato all’educazione, ma l’implementazione di questi risultati è ancora in fieri nel nostro paese. Anche la Costituzione italiana sottolinea la corresponsabilità educativa tra scuola e genitori, ma spesso la collaborazione tra di loro rimane limitata.

Infatti, anche se il coinvolgimento dei genitori nella vita scolastica si è ampliato grazie alle nuove normative, restano criticità come la scarsa flessibilità degli orari di lavoro dei genitori e la difficoltà di comunicazione tra insegnanti, famiglie e pediatra, nonostante lo sviluppo delle tecnologie di comunicazione online, con possibilità di effettiva minore comunicazione e collaborazione tra le parti coinvolte. Inoltre, i budget ridotti per le scuole possono limitare la disponibilità di insegnanti di sostegno adeguati specificamente dedicati.

Tutti questi fattori possono contribuire anche alla accentuazione dell’inequità sociale, perché le famiglie meno agiate hanno in genere meno strumenti per affermare i loro diritti. Il concetto di neurodiversità resta ancora molto ancorato al modello medico di disabilità che si concentra sulla diagnosi e sul trattamento delle condizioni che possono limitare la funzione e l’auto-sufficienza delle persone, invece di considerare la neurodiversità come variazione naturale della neurologia umana. Invece la neurodiversità come modello sociale afferma che le differenze neurologiche, come quelle presenti ad es. nei disturbi dello spettro autistico, non sono necessariamente disabilità, ma piuttosto variazioni naturali della neurologia umana.

Secondo questa accezione si dovrebbe integrare e assistere queste condizioni come parte della variabilità della normalità. Questa prospettiva che può sicuramente favorire l’inclusione sociale, l’autodeterminazione e il benessere delle persone con diverse abilità neurologiche richiederebbe però una serie di professionalità e di supporti che al momento non si vedono né a scuola, né in famiglia, né negli ambulatori pediatrici.

Si potrebbe concludere che nonostante i progressi sulla carta, c’è ancora molto lavoro da fare per migliorare il rapporto tra famiglia, pediatra e scuola e forse potremmo mutuare il modello dei presìdi medici esistenti nelle scuole francesi o statunitensi, per l’ascolto dei problemi di questi bambini e delle loro famiglie.

C’è maggior consapevolezza, per esempio, del peso che le neurodiversità hanno nel processo di sviluppo e relazione? O siamo ancora immersi in una condizione di stigma e interdizione?

C’è una progressiva maggiore consapevolezza, le condizioni come l’autismo, l’ADHD e la dislessia stanno ricevendo sempre più attenzione e le scuole stanno adottando approcci più inclusivi per supportare gli studenti neurodiversi adattando le lezioni e le attività per incontrare le loro diverse esigenze di apprendimento. Ci sono state anche iniziative per promuovere la sensibilizzazione tra gli studenti senza neurodiversità.

Tuttavia, la consapevolezza del problema varia molto nelle diverse regioni e scuole italiane e ci sono ancora pregiudizi e stigma. È necessario fare ulteriori sforzi comuni, sia come pediatri che come insegnanti, per promuovere una comprensione ampia e una maggiore inclusione delle persone neurodiverse nella scuola.

Pediatra di famiglia a Roma Comitato Tecnico-Scientifico della Fondazione Irene

LAURA REALI

Pediatra